La spirale del disincanto: Dog Soldiers di Robert Stone

Un viaggio dal Vietnam alla disillusione

Spesso siamo abituati a conoscere la guerra in Vietnam attraverso film, più che grazie a libri: Full metal jacket di Kubrick, Good morning Vietnam di Levinson, Apocalypse now di Coppola, fino ad arrivare a Forrest Gump, per citarne solo alcuni. Forse il cinema è più immediato perché ha casse di risonanza maggiori, soprattutto oggi. Eppure sono molti i libri, i reportage e i romanzi che parlano o partono dal conflitto in Vietnam, ne è un esempio Quando le montagne cantano che racconta la guerra dal punto di vista vietnamita.

Robert Stone aggiunge un tassello alla lista pubblicando Dog Soldiers, edito Minimum fax, che comincia su una panchina di Saigon per poi raggiungere la California. Ma perché parliamo di spirale di disincanto?Nelle 427 pagine in cui si dipana la storia di John Converse scopriamo che c’è molto di più oltre a ciò che si è già detto, c’è la disillusione in cui tutta l’America (e con lei l’Occidente) si trova improvvisamente intrappolata.

Dog Soldiers: una spirale di disincanto

John Converse, giornalista e drammaturgo californiano non particolarmente di talento, si è recato a Saigon come reporter, in prima battuta, ma, soprattutto, per sfuggire a quella che non si esiterebbe a definire una vita insoddisfacente: un matrimonio infelice e, in fondo, a una strisciante paranoia sempre crescente. Tra le miserie del paese e dei connazionali con cui si ritrova a dividere l’esistenza vietnamita, senza un vero motivo Converse si ritrova con una grossa partita di eroina purissima da smerciare in patria, arrivando poi a coinvolgere la moglie Marge e l’amico Hicks, un ex soldato dell’esercito americano in una fuga sempre più miserevole attraverso gli Stati Uniti, in cui la morale conta sempre meno, portando i protagonisti a tornare a uno stato a ogni pagina più ferale, in cui prevalgono il cinismo e la violenza rispetto all’umanità.

Molti saggi, reportage, romanzi sono nati da quello che Massimo Carlotto, nella prefazione, non esita a definire “l’evento bellico più criminogeno del Novecento”: un grandissimo numero di corrispondenti di guerra ha cercato di recarsi in Vietnam per toccare la realtà, nascondendo al suo interno una notevole quantità di spiantati, di anime in fuga da un paese sempre più distante dal sogno americano.

Il Vietnam come pretesto della disillusione

Dog soldiers, all’inizio, potrebbe sembrare “solo” una storia sul Vietnam, su un conflitto in cui gli Stati Uniti sembrano scivolare quasi con ingenuità. Al di là di ciò che leggiamo nelle prime pagine: la corruzione della classe dirigente vietnamita ormai insanabile, la prostituzione dilagante anche tra i giovanissimi, l’abuso e il traffico di sostanze, c’è qualcosa di più profondo e, nonostante tutto, di più radicato negli animi umani. La paura dell’apocalissi che non riguarda solo il Vietnam, ma le illusioni del sogno americano stesso, in una spirale di disincanto sempre più crescente che si trasforma in un cinismo sempre meno umano ma, al contempo, sempre più terribile in virtù del suo essere esclusivamente proprio dell’uomo.

Il colpevole inetto

Converse non è un criminale, non ne ha il physique du rôle, né tantomeno l’attitudine o la cattiveria: Converse è un inetto, ed è questo che lo rende un pericolo non solo per se stesso, ma anche per chi gli sta vicino. La sua colpevole stupidità, quella di cui parla, in altri modi e contesti, Carlo Maria Cipolla nel suo saggio Le leggi fondamentali della stupidità umana: stupido è chi mette nei guai se stesso e gli altri senza, in fondo, trarne alcun vantaggio.

È proprio per questo motivo che Converse si trasforma in una sorta di re Mida al contrario e trascina inevitabilmente con sé Marge e Hicks, affidando loro il compito di contrabbandare l’eroina. Un compito che si trasformerà in una fuga sempre più miseranda eppure emozionante attraverso droga, sesso e violenza nelle atmosfere del disincanto della beat generation: questo è quello che rimane del sogno americano, la fine degli ideali che avevano dominato la scena dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Fuggire lontano, ma lontano da dove?

C’è un altro aspetto fondamentale in questo romanzo, il tema della fuga e, forse ancora di più, della speranza del passare inosservati sia nel caos che nell’ordine: la paranoia di Converse dell’essere perennemente inseguito si trasforma nella speranza illusoria di sfuggire all’occhio dello Stato o di chi, in ogni caso, è sopra dell’uomo medio (e mediocre). Per quello che, cinicamente, potremmo definire uno scherzo del destino, a un certo punto il protagonista si ritrova a passare da preda a cacciatore, in uno schema ancestrale i cui contorni si fanno sempre meno definiti, di pari passo con il dissolvimento della morale, ma ancora di più dell’umanità.

Dog Soldiers è un romanzo che, in realtà, è privo di speranza, eppure si rivela essere un affresco meraviglioso, uno spaccato di un’epoca torbida e vicina, la fine di un mondo che non ha portato a un tempo migliore: sembra incredibile, ma in queste pagine che parlano di un’umanità sempre più miserabile, troviamo citata tanta letteratura, da Hemingway a Nietzsche, da Heine a Hesse, a Cronin. Non è un vezzo, non è uno sfoggio di cultura: in un mondo che crolla, che non sia proprio la letteratura a tenerci ancorati a quello che siamo? 

Forse la letteratura, dopotutto, è il regno della verità: non la falsificazione estetica, ma una pienezza di significato che si ha solo scrivendo di ciò che si vive, fosse anche solo questa tanto presente spirale di disincanto, in un’eterno rincorrersi di bene e male, di vette e abissi, di cadute e redenzioni, nelle cronache apocalissi del mondo.

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